Ieri sera sono stato alla Festa dell’Unità di Roma, sulla via Ostiense. Non so ancora perché. In ogni caso, ieri ero anche di umore nero (o per dirla alla Montalbano, nìvuro) per cui la mia predisposizione alle stronzate era assai ridotta.
Iniziamo dal luogo: raggiungibile facilmente, spazio immenso, ma… triste, squallido! Ricordo ancora gli anni belli dell’Isola Tiberina o – al più – di Testaccio. Forse un luogo squallido produce una festa squallida. Ma passiamo oltre.
Neanche varco l’ingresso che una sciamannata di cinquantanni iperabbronzata e con una tunica molto "etnica", brandendo un foglio, ci viene incontro per farci firmare chissà quale caspita di petizione per la formica gialla dello Zimbabwe o per batter cassa. Non lo so per cosa. Non lo so perché al sentire "Posso…" rispondo secco e rapido: "No!". E la spiazzo. Le parole le si fermano in gola. Personalmente provo un certo godimento nell’esser bastardo, ma chi era con me ieri sera mi ha dato della bestia. Pace.
Andiamo oltre e mi rendo conto che la Festa dell’Unità non si regge più sui dibattiti, sull’incontro politico, sulla condivisione ideologica, ma sullo shopping. Non è altro che una fila infinita di bancarelle, un mercato rionale. Certo, parliamo di prodotti del commercio equo e solidale, di mobiletti etnici e di "straccetti" colorati che fanno tanto anni ’60… ma accanto a questi ci sono gli stand della Folletto, della Fastweb che promuove il campionato di calcio on Tv, dei villaggi vacanze, della Lavazza, ecc.
In fondo allo spazio, il palco in cui due sfigate facevano cabaret… si sà, Zelig va di moda. Mi vergognavo per loro: in due minuti non mi hanno fatto nemmeno sorridere.
Poi c’è Rinascita, con il suo stand di libri, cd e dvd: un casino di rumori e un piccolo spazio per i dibattiti, che nessuno si fila visto che la musica tutt’attorno dà il mal di testa. E i ristoranti. Di tutti i generi. Ho provato quello sudamericano (un messicano de noantri, per dirla tutta, che negli spiedini di carne metteva la salsiccia nostrana): uno schifo assoluto, da voltastomaco. Ma perché le cose debbono esser fatte male? Possibile che non vi vergognate a servire certi piatti? Livello della gente, sul cafone andante.
Eppure io ricordo le Feste dell’Unità nei paesini in Toscana o in Umbria, le sante mangiate nei tavoloni comuni e le chiacchierate coi vecchi che servivano. Che sono poi diventate le Sagre di paese, molto più vere, belle, semplici. Senza essere ammantate di idee politiche che tanto girano a largo da simil Feste.
Pollice verso.
22 luglio 2005 alle 15:18
Questo perchè non hai mai visto lo squallore di una festa dell’Unità a Latina…Non sono politicamente schierato, ma ci sono andato per necessità lavorative. Ero stato a Roma qualche anno fa a Caracalla, e per lo meno assomigliava a una festa patronale. Ma in realtà ci sono andato come prova d’amore per la mia donna…
14 agosto 2005 alle 18:05
Condivido in pieno la tristezza. PAssi per le festicciole di paese (che se ci noti qualche idiosincrasia è pure folcloristica) ma a Roma ci si dovrebbe organizzare un pò meglio. Trovo anch’io. E soprattutto fare una selezione per gli stands.
14 agosto 2005 alle 20:45
“Sa” si scrive senza accento.Per il resto condivido il giudizio su certe feste de “l’Unità”.
24 agosto 2005 alle 10:00
Paolo, hai ragione. A rileggere oggi l’errore, mi chiedo come sia stato possibile. Faccio pubblica ammenda
13 settembre 2005 alle 10:11
Che le feste attuali di paese sia molto piu’ vere delle feste de l’unità di un tempo è vero solo per i fasci & democristi che a quelle feste non andavano, in realtà adesso è tutto un esibire videofonini.
17 settembre 2005 alle 08:27
sarò un mosrto da indicare con l’indice,ma a me piace la festa dll’unità..forse perchè la mia vicinanza alla politica ( e qui gli indici sono due!!!)è pressochè nulla e allora diventa solo una passeggiata con gli amici e birra fresca con patatine :o) alexxx