Questa mattina su Radio Rock, radio romana che merita più di un passaggio, ho ascoltato una canzone di Remo Remotti che non conoscevo. Parlava (a suo modo) di guerra, risolvendo il dramma delle migliaia di giovani morti con un uovo di Colombo… mandare al fronte i vecchi. Via dai giardinetti, un calcio in culo e al fronte… aggiungendo che tanto, al comando spara, potrebbero solo rispondere: "A che? Non vedo un cazzo! C’ho la cataratta!".
Non so se riuscirò a trovarne il testo, ma meriterebbe una pubblicazione perché con la follia si mette alla berlina una follia più grande, la guerra.
Recupero postando un altro suo testo, Mamma Roma Addio. Per chi è di Roma ed ha almeno trenta e passa anni come il sottoscritto, dice molte cose che sono vissute, note, cognite.
E me andavo da quella Roma addormentata, da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, quella Roma del volemose bene, annamo avanti, quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei sali e tabacchi, degli erbaggi e frutta, quella Roma dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, dei maritozzi colla panna, senza panna, delle mosciarelle
me andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ce voleva ‘na raccomandazione
me andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, quella Roma della circolare destra e della circolare sinistra, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti
me andavo da quella Roma degli attici colla vista, la Roma di piazza Bologna, di Via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella eterna, quella di giorno, quella di notte, quella turistica, la Roma dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma di Propaganda Fide, la Roma fascista di Piacentini
me andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi, del Colosseo, dei Fori imperiali, di piazza Venezia, dell’Altare della patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre col sole estate e inverno, quella Roma ch’è meglio di Milano
me andavo da quella Roma dove la gente orinava per le strade, quella Roma fetente e impiegatizia, dei mille bottegai, de Iannetti, di Gucci, di Ventrella, di Bulgari, di Schostal, di Carmignani, di Avegna, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è ‘na lira, quella Roma der còre de Roma
me andavo da quella Roma della Banca Commerciale Italiana, del Monte di Pietà, di …chi cazzo, di campo de’ Fiori, di Piazza Navona, quella Roma che c’hai ‘na sigaretta, e prestame cento lire, quella Roma del Coni, del Concorso ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini, me n’andavo da quella Roma di merda!
Mamma Roma! Addio.
25 gennaio 2007 alle 10:54
Non ho sentito il testo della canzone che citi ma quello di mamma Roma, Addio mi fa venire …il “mammatrone” (tiè, senti che t’ho scritto). Lo stesso effetto me lo fa “Campo de Fiori” di Venditti, quel famoso cantautore morto (professionalmente, non auguro cose brutte) nel 1986
25 gennaio 2007 alle 13:38
Come ti capisco… anche nel giudizio su quel che fu (e che non è più) Antonello… e dire che lo conobbi con Theorius Campus assieme a De Gregori :-S
25 gennaio 2007 alle 13:47
Altra perla quella che citi…con De Gregori che canta in inglese…io c’ho ancora il vinile che certe cose solo così le puoi sentire, che sul CD manco ci girano…