Il Blog di Lebowsky

"Tiente largo, ma datte 'n limite" (cit. M. Paolini)


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Prendersi cura di sé

Ci sono giornate in cui torni a casa stanco, poco contento del lavoro o sommerso da problemi, con accenni di gastrite nervosa e una chiara percezione del non sense del mondo in cui sei immerso dalla testa ai piedi, tutti i giorni, tutto l’anno. Il mondo ICT è poi assai buffo.

In alcuni casi decidi di spegnere il cervello, di accendere la televisione e di mangiare qualsiasi cosa non cucinabile che il tuo frigo ti propone. Un totale abbrutimento, con cui in realtà non migliori il tuo stato d’animo, legato alla sola pigrizia.

Ma ieri sera, stranamente, sono tornato a casa ed ho fatto ciò che più mi rilassa. Ho acceso l’impianto hi-fi (fa vecchio dire hi-fi, ma mi dà tanto gusto), ho inserito Beyond the Missouri Sky di Metheney-Haden,  aperto una bottiglia di Petit Verdot di Casale del Giglio e mi sono messo a cucinare. E’ una cosa che mi distende e mi infonde benessere.

Col vuoto pneumatico che c’era in casa, sono riuscito ad organizzare comunque un delizioso piatto di pasta, paccheri Di Nola con pomodori pachino, capperi di pantelleria, cipollotto fresco e una punta di alici. A seguire, patate arrosto in salsa Aioli.

Prima e dopo, lettura sul divano al suono della musica e dello sfrigolio delle padelle. Televisione muta, animo restaurato…


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Il Convivio

Ieri per commemorare (visto il numero il termine sembra quantomai appropriato) i miei 35 inverni… sono stato al Convivio, ristorante romano sempre associato al nome del suo cuoco, Angelo Troiani.

Come per altre esperienze, una piccola recensione di seguito.

Il luogo: Ristorante Il Convivio, Roma.
Lo chef: Angelo Troiani.
Segnalazioni: 2 forchette Gambero Rosso, 83 punti; JRE.

Accediamo al locale, sito in pieno centro a Roma, tra via dei Coronari e Lungotevere/Corso Vittorio Emanuele. La porta è chiusa ed occorre suonare per entrare. Un addetto di sala ci fa accomodare al nostro tavolo, sala C. Apparecchiature da alta ristorazione, sculture in vetro ad ornare i tavoli (ed a proteggere le bottiglie, come se fosse vietato fermamente rabboccare i propri calici senza l’intervento di un cameriere). Ambiente molto leccato, forse un pò troppo pomposo per i miei gusti.

Le carte dimensione lenzuolo che ci vengono portate sono distinte per uomini e donne; queste seconde non recano i prezzi. Scegliamo le portate:

  • 2 Fiori di zucca in pastella e mozzarella di bufala, crema di acciughe, sorbetto di pomodorini marinati
  • 1 Maltagliati di farina kamut con funghi, broccoletti, fave secche e tartufo nero scorzone
  • 1 Filetto di pesce bianco di paranza con verdurine, salsa di limone, scalogno e bacche di ginepro
  • 1 Tegoline con crema di mascarpone, lamponi, sorbetto alla banana e pepe di Szechwan

Dalla carta dei vini, molto ricca ma con ricarichi non proprio corretti, una bottiglia di Ribolla Gialla di Radikon 1998, un vino molto particolare, non trattato chimicamente né chiarificato, dunque con residui ben visibili e – macerando inizialmente con le bucce – dal colore giallo/arancio molto carico (oro antico, qualcuno dice). La domanda del sommelier se lo conoscessi già, era al limite tra attenzione al cliente e dubbi sulla sua capacità di discernimento. Ne sono rimasto un pò infastidito, ma comprendo che una scelta fatta da persona digiuna di vini, avrebbe creato scompiglio essendo il vino in questione molto particolare e “diverso”.

Piccola entrée offerta dal ristorante: tre mini bocconi interessanti. Non aggettiverei però più di così.

I fiori sono saporiti ed al contempo delicati. Merito della mozzarella esterna alla frittura ed alla crema di acciughe (molto simile ad una maionese delicata alle alici). La frittura ottima (il fiore interno ancora dal colore vivo e dalle foglie non appassite), anche se come retrogusto restava un sapore di olio abbastanza forte, anche se appena accennato. La composizione di bocconi compositi fiore, mozzarella, alici e sorbetto di pomodoro, riequilibrava perfettamente il tutto, facendo svanire la sensazione di olio persistente.

I maltagliati sono stati uno dei piatti più riusciti. Ottima e consistente al palato la pasta, funghi e broccoletti perfettamente amalgamati assieme, un sapore ben rotondo che accarezza il palato, pur restando – concentrandosi sul boccone – ben distinti i singoli ingredienti. Questa sensazione è secondo me il punto di equilibrio ed eccellenza di un piatto. Lo scorzone grattugiato a fili mi ha sorpreso in bocca, non per il sapore che conosciamo, quanto perché il taglio ne offre in bocca una degustazione prolungata.

Il pesce è servito su una base di verdure appena scottate al vapore, dunque al dente, estremamente saporite (eccezionali gli asparagi). Il pesce va assaggiato con la salsa di limone, che gli attribuisce un sapore netto e gustoso. Nella salsa, densa, oltre al limone ho il dubbio vi fosse una buona dose di burro e poi dell’acqua di cottura del pesce ristretta.

Infine il dolce. Dolce e non stucchevole, nonostante la pasta dei tegolini e il mascarpone, delicatissimo. I lamponi freschi, appena aspri, contrastavano con il sapore dolce del mascarpone. Il sorbetto alla banana e vaniglia, ottimo e giusta chiusura del piatto. Da notare il gusto di vaniglia molto deciso (e molto apprezzato).

Infine, con il caffé, offerta una piccola pasticceria che mi ha totalmente deluso. I pani serviti durante il pasto buoni, non eccelsi, né troppo vari; non viene servito un cestino ma una ragazza passa di tanto in tanto con un vassoio chiedendo quanto e quale pane di preferisce.

Ambiente molto pomposo, ho detto, salvo poi vedere le ragazze che servono anche imbarazzate per le recitazione cui vengono chiamate (decantazione di ogni piatto…). O forse si rendono conto che non sono affascinato da certi artifizi e dunque è come se improvvisamente recitassero senza scenografie alle spalle…

Prezzi molto elevati, oltre i 100 euro a persona per questa cena non completa di portate ma con un vino di medio-alto livello. Ripenso alla Bastiglia (Spello) e penso che quella sia la via giusta, oggi, della ristorazione di qualità. Ma è stata comunque un’esperienza bella per il palato e volendo spendere, od apprezzando certe attenzioni, è comunque un indirizzo di livello.


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La Bastiglia

No, non è un altro articolo sulle elezioni presidenziali francesi. E’ il resoconto di una delle migliori cene che il sottoscritto abbia mai consumato nella sua vita. Ringrazio Marco per la conferma che una sera mi ha inviato.

Il luogo: Ristorante La Bastiglia, Spello (PG).
Lo chef: Marco Gubbiotti
Segnalazioni: 2 forchette Gambero Rosso, 1 stella Michelin.

Entro nel ristorante, posto in cima alla splendida cittadina umbra di Spello. Un pò isolato, gode di uno splendido paesaggio. Il locale ha tavoli grandi e ben distanziati, che ti offrono una piacevole sensazione di privacy. Apparecchiature ricercate quanto basta, assolutamente non eccessive o imbarazzanti. Una musica di sottofondo ben scelta ed al giusto volume, ed il personale di sala cordiale e professionale fanno il resto: si passa il tempo con piacere nel ristorante (senza accorgermene, mi alzerò tre ore dopo, soddisfatto e rilassato).

Ordino antipasto e primo piatto, dopodiché scelgo dalla carta dei vini un Valpolicella di Quintarelli del 1992. Un vino che ancora ha molto da esprimere, nonostante i suoi 15 anni già all’attivo. Ci viene servito correttamente e, dopo mio consenso, scaraffato. La scelta risulterà apprezzata non solo da me.

Viene offerto un primo antipasto, un piatto rettangolare e lungo su cui sono posizionati cinque minibocconi, atomi di sapore come inizio del viaggio gastronomico. Ricordo una crema di pizza molto buona, servita in un bicchierino.

Tra gli antipasti ordinati, frittelle di fagioli, con cinque diverse salse in accompagno, e petto di piccione su letto di salame di piccione non stagionato. Il petto era delicato e saporito al tempo stesso, con una crosta quasi caramellata che donava al termine di ogni boccone un esplosione di gusto.

Primi: tortelli di ricotta (di capra) di Manciano con tisana al timo e salvia; stangrassi al ragù di agnello, asparagi e pistacchi di Bronte. I primi sono indimenticabili. La sfoglia è un velo di pasta che racchiude una ricotta freschissima e perfettamente equilibrata. La tisana è presentata in una procellana bianca e se ne dosa il condimento sui tortelli a piacimento. Gli stangrassi sono una pasta che cotta al forno viene servita come un piccolo timballo, delicato e soffice. Colpisce soprattutto l’accostamento ottimo di asparagi e pistacchi (questi nel letto su cui poggiava il timballo monoporzione).

A questo punto l’idea era di saltare il secondo. Il maitre però ci ha confidato che lo chef aveva piacere di offrirci un assaggio del tris di chianina in menu, per onorare la bottiglia di vino scelta dal sottoscritto. Dunque mi è arrivato un piatto con: dadi di chianina scottati in olio a 65 gradi, quasi crudi; un piccolo taglio di filetto a mezza cottura; un boccone di stracotto). Lo stracotto sarà uno di quei sapori che ricorderò a vita.

Dolci: tris di mele (tarte tatin, sorbetto e non ricordo bene cos’altro); tortino di cioccolata con sorbetto di (se non erro) arancia e mandarino, su un letto di gelatina di carote. Grande gioia per un goloso come me. Ma non finisce qui: piccola pasticceria offerta, ovvero… dei minicapolavori (1 madelaine, 1 brutto ma buono, 1 ricciarello) ed un bicchierino di tiramisù delizioso, con una crema fresca e spumosa, dolce al punto giusto.

Chiacchierata con il personale di sala, molto bravo, e con lo chef, venuto a sincerarsi della mia soddisfazione. Completa.

Che dire. Se amate la buona cucina, un indirizzo da appuntarvi.


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Piaceri diVini

Ieri sera mi sono goduto una cena speciale. Invitato ad una degustazione dal titolare de La Fornace di Mastro Giorgio, ristorante eugubino che consiglio (76 pti Gambero Rosso 2007, 1 forchetta), mi sono recato presso l’enoteca Anacleto Bleve in Roma e da quel momento fino a notte inoltrata ho deliziato il mio palato come poche altre volte.

Per aperitivo, uno Champagne francese di cui purtroppo questa mattina non ricordo il nome (il cerchio alla testa di questa mattina giustifica però l’amnesia…). Eppoi, nell’ordine:

  • Morey-Saint-Denis 2002, Domaine Hubert Lignier
  • Amarone 1998, Quintarelli
  • Cornas 2003, Thierry Allemand
  • Dom Pérignon millesimato 1961, Moet et Chandon

Io non aggiungo altro… ah, sì, il cibo:

  • selezione di affettati, mozzarelle di bufala
  • riso Acquerello con fegatini e tartufo nero (un piatto che adoro e che viene particolarmente bene allo chef de La Fornace)
  • spezzatino di cinghiale su letto di polenta
  • selezione di cioccolate
  • pani assortiti

Insomma, una serata diversa. Oggi, acqua e insalata…


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Colpi di mestolo

Adoro la cucina. Forse perché adoro – anche un pò troppo – mangiare. Da anni però cammino su un crinale: da una parte il fascino per l’enogastronomia e il suo mondo, dall’altra il rifiuto della parte meno genuina e più modaiola che negli ultimi anni ha invaso il mondo.

Così per il vino: mi piace, mi sono preparato, ho seguito mille degustazioni ma oggi non sono più un fanatico e guardo con un pò di ironia chi emula il sommelier di Antonio Albanese (che chicca!). Detto ciò acquisto e consumo buon vino, se non in alcuni casi, buonissimo. Però ho spazzato via la retorica, il fanatismo.

Questo perché non ce la faccio più di tutte quelle sovrastrutture che abbiamo creato. Se devi scegliere il cesso di casa, passi una settimana per magazzini e riviste: devi scegliere il colore, la forma, la rubinetteria, lo scarico, l’aggancio a parete o la base a terra, ecc. ecc. E ci devi in fondo solo cagare…

Se vuoi un giacchetto tecnico invernale di marca, spendi 2-300 euro. Poi vai in Sri Lanka e scopri che quel modello, preciso identico, lo producono lì e con tanto di marchio ed etichetta, lo puoi comprare a 10-20 euro. Ce ne sono dunque nella migliore ipotesi 180 accumulati per strada, in minima parte per spese di trasporto, marketing e copertura costi aziendali… tutto il resto come profitto.

Ecco, in tutta questa follia tanto pervasiva che quasi mai ce ne accorgiamo, almeno sul mangiare e bere cerco di mediare tra decorazione e sostanza. Il mondo degli chef e della guide è però un business enorme e non si gioca. Non mi stupisce dunque leggere oggi che all’assegnazione del premio Paul Bocuse sia nata una polemica finita sui giornali. Anche corretta, volendo. E’ il clamore che fa effetto. Ma d’altronde gli chef oggi più di ieri, sono primedonne.