Sia lontana da me la facile indignazione e la strumentalizzazione di vicende umanissime. Però quando tocca a chi si fa paladino di pulizia e trasparenza, quantomeno si sorride sotto i baffi, non ci fosse invece da arrendersi all’evidenza già più volte sottolineata, che l’Italia è un pò “così”.
Oggi esce un’intervista a Di Pietro sul Corriere, dove gli si chiedono lumi sui lavori usuranti e sulle età di pensionamento, alla luce dei tavoli di trattativa in essere tra governo e sindacati, e – soprattutto – al fatto che lui in pensione ci è andato a 45 anni.
Le risposte sono un pò tipiche di bambino colto con le mani nella marmellata, tendono come si dice a Roma a “buttarla in caciara” e alla fine, da bravo italico, al “come potevo dir di no? lo fanno tutti”. Lo capisco anche, sinceramente.
Capisco un pò meno il sistema pensionistico italiano, non uguale per tutti e non in base a regole logiche o di salvaguardia della salute e della prospettiva di vista dopo il lavoro; non capisco alcune battaglie conservative dei sindacati, che continuano a voler tutelare chi in qualche modo lo è già abbastanza e non chi, da bravo atipico, non lo è affatto; non comprendo la bagarre politica sempre più ostaggio del consenso, mai dell’utile nazionale; men che meno, mi raccapezzo sui cumuli di pensione e lavoro, visto che sono cresciuto con l’idea che chi percepiva una pensione aveva terminato il suo ciclo attivo.
Sono già più abituato invece al predicar bene e razzolar male, che ci è così tanto caro.