Ma femme in questo momento è a Nairobi, in Kenya: volontariato, anche se vorrebbe essere un lavoro (le critiche al mondo Ong ve le risparmio però, dico solo che è più facile passare attraverso un muro che lavorare pagati per una Ong italiana senza sonori calci nel culo).
Mia cugina è a Stoccarda: lavora da alcuni mesi, a termine, in uno studio di architettura composto da 80 persone e più, con progetti in tutto il mondo e pubblicazioni sulle principali riviste di settore (qui le uniche proposte erano di lavorare in cantiere, mal pagati e con orari schifosi).
Più passa il tempo, più viaggio, più raccolgo esperienze di persone che sono scappate dall’Italia con massima soddisfazione. O di persone che vorrebbero scappare dal sistema, anche restando in Italia, ovvero adeguarsi e nascondersi lavorativamente parlando, rinunciando a visibilità e regolarità (ma non pagando più tasse che per livello sono quasi inique, lo dice uno che ha sempre pagato tutto, non ha mai chiesto un condono ed oggi infatti non ha un soldo da parte…).
Arrivo e leggo il post di due amici che a gennaio dell’anno scorso fecero una scelta coraggiosa: licenziarsi e partire per un viaggio lungo almeno 12 mesi. Paolo e Cristina stanno facendo un viaggio eccezionale, li seguo costantemente e penso che abbiano avuto al contrario di altri (me compreso) tanto coraggio. Leggendoli vedo che sono storie ricorrenti. Bel post.
18 dicembre 2007 alle 05:20
Scusa la risposta tardiva dovuta al fuso orario, le grandi distanze e gli impegni di viaggio 🙂 ci fa sempre piacere avere degli affezionati lettori…ricordati che puoi sempre prendere lo zaino e raggiungerci!Noi ti aspettiamo volentieri!