Avevo in bozza questo articolo da almeno tre mesi. Poi l’altro giorno mi è capitato di leggere questo articolo di Marco Massarotto estremamente interessante, sulla spazzatura digitale o e-waste. Così, fermo restando il titolo, rivedo i miei primi appunti ed anzi, accorcio pesantemente il testo avendo trovato nell’articolo suddetto quanto pensavo, ma scritto meglio 😉
A puro scopo di lucro, viviamo in una società dichiaratamente organizzata per ridurre il ciclo di vita dei prodotti (elettronici in particolare) e portarci ad acquistarne di nuovi regolarmente, perché guasti al termine della garanzia con incredibile tempismo, o semplicemente perché soppiantati da altri più belli, nuovi, potenti, alla moda…
Personalmente non sono esente da questo comportamento dunque lungi da me scagliare la prima pietra. Però non sono nemmeno un maniaco e continuo ad esempio orgogliosamente ad avere televisori a tubo catodico di un decennio fa: finché non scoppieranno, fanno il loro dovere egregiamente e non saranno sostituiti dai pur bellissimi lcd di ultima generazione. Ma il motivo per cui mi ero salvato questa bozza era il contrappasso tra durata degli oggetti, sempre più ridotta, e aspettativa di vita delle persone, che si allunga.
Sia chiaro, si allunga non sempre felicemente e non in tutto il Mondo. Tanto che ci sarebbe da chiedersi, ha senso vivere cent’anni se poi gli ultimi venti li passi rincoglionito, non autosufficiente e magari senza alcun contatto con la realtà? Con questa nota di ottimismo mattutino, chiudo la parentesi, e torno all’argomento con un’altra domanda: parlando di sostenibilità di un sistema, non dovremmo trovare un equilibrio tra vita dei manufatti e vita delle persone? Questa divaricazione in atto, mi sembra assolutamente non sostenibile, dannosa, non etica.