La Casa Bianca, a voce del vice-presidente Cheney, sabato scorso con un comunicato ufficiale ha cercato di togliere dalla graticola il segretario alla Difesa Usa. Frasi come “lasciategli fare il proprio lavoro” (uh, mi ricorda qualcosa!) o “il miglior segretario alla Difesa che gli Usa abbiano mai avuto” la dicono lunga sul tentativo di salvare Rumsfeld limitando il danno ed adducendo la responsabilità di tutto all’opera di pochi “mariuoli”.
C’è aria di fronda però anche all’interno delle Forze Armate americane. Ieri sul Washington Post alcuni graduati mettevano in guardia il Governo: “si possono vincere molte battaglie e perdere la guerra“. Così, il generale Charles Swannack, comandante della 82a divisione aerea, mentre dice che le forze americane migliorano di battaglia in battaglia, allo stesso tempo dubita della vittoria: strategicamente, dice, gli Stati Uniti sono perdenti, poiché non hanno il favore della popolazione. Il colonnello Paul Hughes paragona addirittura l’Iraq al Vietnam: una guerra perduta malgrado il succedersi di vittorie tattiche.
Secondo il Washington Post, gli ufficiali ritengono che un cambiamento della strategia debba necessariamente passare per l’allontanamento di Rumsfeld, considerato responsabile di una serie di errori strategici. Presa visione del ghigno “offerto” al Congresso da Rumsfeld, spiegando l’affaire Abu Ghraib, mi accodo volentieri a questa visione delle cose.