Guerra o non guerra, da sempre gli organi di intelligence o militari cercano di occultare informazioni ritenute sensibili o capaci di mettere a rischio la sicurezza nazionale. A volte a ragione, altre per semplice desiderio di impunità o per coprire brutte storie.
I giornalisti dovrebbero (non sempre è così, per pigrizia, paura o parzialità) raccogliere di volta in volta tutte le informazioni e ridisegnare i contorni della verità, confermando o contraddicendo quella “ufficiale” raccontata dai signori di cui sopra.
E’ un classico gioco delle parti che però rappresenta una garanzia per tutti. Ultimo ma non ultimo il caso delle sevizie ai prigionieri in Iraq: i media hanno messo con le spalle al muro i vertici militari che non hanno potuto far altro che confermare, scusarsi (poco), indagare e punire.
In Parlamento è ora in discussione il disegno di legge contrassegnato con il codice 5433, ossia “Delega al governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, nonché per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare”. Tra gli articoli in discussione un paio limiterebbe fortemente la divulgazione di informazioni non secretate ma considerate riservate e concernenti la sicurezza, la difesa e le forze militari (inclusi CC e GdF). Le pene in caso di violazione, anche per un giornalista, sarebbero consistenti e da scontarsi in un carcere militare. Qui maggiori approfondimenti.