Ho finito ieri sera di leggere La morte di Belle, libro di George Simenon. Ora, se qualcuno avesse intenzione di leggerlo in futuro, non porti avanti la lettura di questo post… perché ne svelerò la trama.
Ashby è un tranquillo professore in un college americano di provincia. Sposato, una vita regolare e monotona, ma rispettabilissima. Un giorno, una ragazza che ospita e che è la figlia di un’amica della moglie, viene trovata morta in casa sua, violentata. Lui non ne sa nulla ma era in casa: sospetti e giudizi della piccola comunità, anche in assenza di un arresto o di un’accusa ufficiale, minano la sua tranquilla vita. Ashby è ossessionato (questa è la parola giusta) dalla morte di Belle e dal sentirsi colpevole pur senza esserlo. Così ossessionato che tradirà la moglie una sera ed ucciderà la malcapitata conquista, per poi chiamare la polizia e costituirsi, nel ruolo che la comunità gli ha attribuito e in cui per ossessione anche lui si è rinchiuso.
Ecco, chiusa l’ultima pagina mi è venuta in mente Garlasco. C’è troppa leggerezza nei giudizi sulle persone. E troppa morbosità su crimini di questo tipo. A lungo andare, potrebbero generare mostri.
21 agosto 2008 alle 15:51
Lascerei stare i paragoni con Garlasco, dove la verità sostanziale mi sembra nitida, mentre quella giudiziale è ormai impantanata in un pasticcio irrisolvibile. Per il resto, ho trovato il romanzo di Simenon di una bellezza sconvolgente. Ed il finale mi sembra aperto a molte interpretazioni, alcune anche paradossali e imprevedibili. Ne propongo una. La parabola di Ashby dopo l’omicidio di Belle è in rovinosa discesa: da professore mite e abulico a demone sospetto di un’intera comunità, che alla fine, rovesciando il celebre adagio di Pindaro, è costretto ad essere ciò che era diventato, nel giudizio di tutti, cioè un assassino. Bene, perchè non pensare che per la moglie del professore, Christine, possa valere il contrario? Possibile assassina notturna di una ragazza disinibita di cui aveva forse temuto le insidie al marito, la moglie, nonostante la morte violenta accaduta nella sua casa, dall’inizio alla fine mantiene incrollabilmente lo status di donna rispettata e apprezzata da tutti, figlia di un senatore, amica e conoscente del coroner, del medico legale, del tenente e persino del capo della polizia locale, e resta dunque totalmente indenne da una vicenda che pure l’avrebbe potuta vedere fin dall’inizio tra i sospettati. Si tratterebbe, cioè, del duplice, parallelo misfatto di una società e di un senso comune, che, in nome di una pruderie falsamente puritana e persino vagamente sessista, determinano la crocifissione preventiva di un innocente, e preservano la grazia e il rispetto sociale per una possibile colpevole. Chissà se la torpida e allusiva immaginazione di Simenon non abbia inteso, tra le righe, suggerirci anche questo.
12 febbraio 2009 alle 10:12
Ho finito proprio ieri sera la lettura di questo romanzo e l’ossessione del professore mi ha contagiata durante la lettura.
Non posso che concordare con la recensione di Michele69 che ha reso e tradotto le mie stesse sensazioni e riflessioni.