E’ uscito oggi su L’Unità l’articolo a firma Andrea Boraschi che citavo ieri tra le righe. Forse sarebbe stato più giusto pubblicarlo ieri, prima della votazione, ma tanto fa. Eccolo:
Quella storia, pure, continua a tornarmi in mente con insistenza: mi fa pensare a quella parte della coalizione di governo che si mobilita per escludere dal provvedimento d’indulto una serie di fattispecie, tra cui i reati finanziari. Costoro, di fatto, sono pronti ad accettare che di uno sconto di pena si avvalga un omicida, un rapinatore a mano armata, un estorsore. Ma non quel detenuto; che ha commesso un reato ulteriore, non sanzionato dalla legge ma riconosciuto, evidentemente, da una parte consistente dell’opinione pubblica: essere stato condannato per un illecito che lo accomuna a imputati quali Fedele Confalonieri e Callisto Tanzi, Cesare Geronzi e Sergio Cragnotti.
Forse è già tardi, ma conviene tornare a discutere delle buone ragioni che vorremmo all’origine di questa legge. Chi la intende come una forma d’intervento preliminare e ineludibile per una riforma del codice penale – una riforma che depenalizzi e potenzi le misure alternative alla detenzione – vuole porre rimedio all’affollamento penitenziario; e pensa a una giustizia che non colpisca iniquamente quelle forme di delinquenza o, peggio, di devianza, espressione per lo più di disagio ed emarginazione. Non per questo, tuttavia, vuole tirare fuori dalle galere solo immigrati, tossicodipendenti e ladri di mele per lasciarvi qualche ricco finanziere, qualche audace faccendiere. Perché, è questo il punto, crede anche che il carcere debba essere una soluzione estrema, da prevedersi solo per reati di massima gravità; e che, prima di essa, ve ne siano molte altre, più efficaci, altrettanto severe, meno costose. E più rispettose della dignità del condannato, chiunque egli sia.
Stiamo parlando di un provvedimento che non estingue la pena, che non si applica alle pene accessorie e che non annulla gli altri effetti penali della condanna. Prevede l’esclusione di alcune tipologie di reato particolarmente gravi; per il resto, è rivolto a tutta la popolazione detenuta, nelle medesime forme e con gli stessi effetti.
Chi pensa “un usuraio si e Cesare Previti no” forse non vuole l’indulto, forse vuole qualcos’altro. Io propendo per una giustizia in cui quel signore sia uguale a tutti gli altri cittadini, nel bene e nel male. So che se resta “dentro” lui, vi rimarrà anche il tossicodipendente che ha mandato a quel paese il giudice durante il dibattimento (entrambi sono responsabili di un reato contro l’amministrazione della giustizia). E visto che Previti non è uno stragista, un violentatore, un sequestratore, visto che non potrà tornare alla sua professione né in Parlamento, che indulto sia: per lui come per gli altri.
8 agosto 2006 alle 16:49
Questo articolo fa vomitare, così come la quasi totalità dei commenti (tra i quali, i peggiori sono quelli demenziali di padre e figlio Sofri) che si ostinano a non voler entrare nel merito del problema.Ed il problema NON è (anzi era, purtroppo) “indulto si o indulto no”.Era COME CONFIGURARE un EVENTUALE indulto (come spiega chiaramente l’ultimo articolo sul tema di http://www.lavoce.info).Io leggo in giro, ed anche su questo – a quanto pare seguitissimo – blog SOLAMENTE opinioni, posizioni ideologiche, e nessun fatto (se non qualche notizia su questo o quel personaggio – su Previti o sul povero sfigato che sta in cella – ma così ovviamente non si può ragionare).In particolare il modo in cui è stato presentato il ministro DiPietro è INDEGNO.Ed è altrettanto indegno prendere per il culo il lettore minimizzando “quell’1 o 2% degli indultati recidivi” e scandalizzandosi invece per un
8 agosto 2006 alle 16:51
(segue) ..povero pirla che non sa neanche utilizzare un fornellino a gas (il quale, altro che 1%: sarà lo 0,00001%).Soprattutto quando si dà per scontato il bisogno di un indulto, ignorando (volutamente?) che tale provvedimento esiste solo in Italia (se poi qualche lettore prendesse in mano qualunque testata estera, avrebbe delle belle sorprese).Viva l’italietta del buonismo cristiano: il paese “democratico” più marcio del mondo occidentale.
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