Il Blog di Lebowsky

"Tiente largo, ma datte 'n limite" (cit. M. Paolini)


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La Rete e la libertà d’espressione, immeritate da molti

Non avevo nemmeno il tempo di scrivere queste due righe oggi, ma sono incappato nei compiti delle vacanze che un professore italiano ha lasciato ai suoi studenti per questa estate 2015. Ora, io sono notoriamente una persona con la sua vena di cinismo e dunque non amo troppo dolcezze e smancerie. Per dire, la pagina d’amore forse più bella mai letta in un libro, è quella di Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline, quando il protagonista disadattato saluta la sua amica e amante, una prostituta, alla stazione del treno.

Detto ciò, i nostri insegnanti sono in media persone che non amano più la loro professione, forse spente da un sistema che non monetizza e non valorizza i loro sforzi, forse semplicemente perché come la statistica insegna, anche tra di loro ci sono persone mediocri come in tutta la società. Una parte può esser definita addirittura come “manica di sfigati” (crocifiggetemi, su). Altri vorrebbero una scuola diversa ma non hanno il coraggio di sperimentare alcun cambiamento (dalla Falcucci ad oggi ci fosse stata una riforma che non ha provocato scioperi o proteste). Ma… come sempre, ci sono anche tante persone rette, brave, coraggiose e soprattutto che amano i ragazzi e cercano a loro modo e coi loro strumenti di prepararli alla vita. Alcuni, sono eccezionali, vitali, appassionati oltre ogni ragionevole motivo (perché chiedere ai genitori anche di portare la carta igienica per i figli effettivamente può smorzare ogni entusiasmo nell’appartenere a quel mondo).

Ora, al netto dei facili entusiasmi, che nessuno conosce questo professore direttamente, leggere i suoi compiti fa pensare che quantomeno ama il suo lavoro e i suoi studenti, cui cerca di ricordare che lo studio è uno strumento per interpretare la vita, non la vita stessa, e che fuori dall’aula c’è un mondo da conoscere criticamente ma senza paure.

Io sarei felice di sapere mio figlio nelle mani di un professore così. Poi magari è un capra, per carità, nella didattica. A senso però, non troverei motivo per criticarlo nei commenti di un giornale online. Invece, leggete qui e troverete persone inacidite, astiose e che hanno tempo da buttare nel commentare negativamente l’iniziativa.

Questi sono i casi in cui preferirei di gran lunga un media Internet meno Social e meno libero. Che la libertà di essere stupidi non dovrebbe essere concessa.


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Da Kabul, notizie che vorresti non aver mai appreso

Ieri pomeriggio lavoravo tranquillamente al computer. Una giornata come un’altra.

Vivo fuori dal mondo e dalle notizie, dunque fin quasi alle 19 di ieri non sapevo ancora che un italiano e la sua moglie kazaka fossero stati brutalmente uccisi a Kabul. Ho aperto Facebook per controllare come andavano degli articoli aziendali pubblicati la mattina e sulla mia timeline ho iniziato a leggere frasi e commenti associati al profilo di un mio amico, Alessandro Abati. Era lui, vittima di un commando terroristico che ha fatto irruzione in un residence per stranieri a Kabul.

Leggevo e pensavo di aver capito male, che non fosse possibile, che doveva esserci un errore. Ho cercato sui giornali online e il suo viso ironico e sorridente era lì. E’ così diverso quando a una notizia orribile associ il volto di un tuo caro amico. E’ orribile e il mondo ti sembra un luogo peggiore, senza speranza.

Avevo conosciuto Alessandro tanti anni fa, per lavoro, a Roma. Me lo aveva presentato un altro amico comune. Si era subito stretta un’intesa particolare. Lui commentava il mio blog di allora, ci scambiavamo mail di lavoro che contenevano infinite digressioni di politica, ci sentivamo al telefono e ci saremo presi qualche caffè assieme.

Poi ha iniziato a viaggiare, tanto.

Costantemente però riuscivamo a sentirci, via Skype o Facebook o un messaggio del cellulare. Non frequentemente, ma con costanza. Ed era incredibilmente piacevole.

A fine agosto poi per lavoro salii a Bergamo e ci siamo rivisti. Arrivò con Aigerim Abdulayeva, sua moglie (così era secondo il rito kazako, non riconosciuto qui; così la presentava, con orgoglio; così sarebbe stato tra due mesi, con cerimonia italiana). Con incredibile cortesia e amicizia, mi portarono in giro per Bergamo Alta, prima a cena, poi a passeggiare per strade bellissime in una sera di fine estate. Ho ricordi caldi nel cuore di quella serata.

Alessandro, nonostante qualche delusione, non hai mai perso la tua ironia distaccata, il tuo sorriso, la tua curiosità per il mondo e per quella parte del mondo meno ricca e fredda. Ricordo ancora le tue parole sull’Afghanistan, dove eri già stato e dove speravi di tornare per lavorare e incontrare i tuoi amici. Amavi quei visi e quelle persone, perché dicevi che erano vere, semplici, ma aperte.

Alessandro Abati, barber shop in Kabul

Alessandro Abati with friends in Kabul

Alessandro Abati with friends in Kabul

Avevi vissuto tanti anni in Paesi che conosciamo poco e solo con i filtri dell’informazione occidentale. Mi divertiva confrontarmi con te sulla Siria, l’Ucraina o l’Afghanistan. Avevi sempre una visione lucida, partecipe e dalla parte delle persone semplici del posto.

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Pace, fratellanza, vita. Non eri ingenuo né schierato, ma avevi voglia di conoscere e speravi sempre che la serenità potesse essere a portata di tutti.

Raramente ho trovato intelligenze così piacevoli, lucide, ironiche, umili. Per questo oggi sto così male.

Avevi voglia di farmi conoscere tua moglie, il tuo amore, Aigerim. Così l’avevi portata a cena con noi. Ti avevo conosciuto già sposato, tanti anni fa. Sempre con classe e poche parole, seppi del divorzio. Quando conoscesti Aigerim, sentii dalle tue parole che ti eri innamorato perdutamente. Ne fui felice. La scelta di condividere i momenti buoni e quelli cattivi in giro per il mondo, con e senza lavoro, è stata la dimostrazione di quanto foste anime gemelle.

Aigerim fu una sorpresa per me, quella sera. Una ragazza bellissima, semplice e intelligente. Aveva un garbo e un’eleganza che mettevano a proprio agio, misurò con maestria la sua presenza, lasciando a noi – che non ci vedevamo da un po’ – gli spazi di cui avevamo bisogno. Mi raccontò delle sue aspirazioni, del suo corso completato a Milano per il mondo della moda, del suo Kazakistan.

Era lieve e soave come te. Ero stato felice di lasciarvi quella sera e vedervi andare via assieme.

Porca puttana Ale, perché proprio a te?! Non mi ha alleviato il dolore sapere, confusamente, cosa ti è successo. Penso sia stato terribile, lungo, spaventoso. Penso abbiate capito perfettamente cosa vi stava succedendo. Per mano di ottusi e stupidi terroristi, piaga di questi anni in tutto il mondo.

La sola idea di uccidere in nome di un fantomatico Dio, secondo me, è folle. Te lo dice un ateo, come eri tu. Ognuno creda in ciò che vuole, ma non pensi di potersi armare in nome di ciò che crede. Perché stronca persone migliori di sé. Perché rende un posto peggiore questo mondo, togliendogli le menti più vivaci, intelligenti e capaci di dare un senso anche alle follie quotidiane.

In questo momento però avrei voglia di ucciderli tutti. Cosa orribile, lo so.

Alessandro e Aigerim, addio.

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Caro studente che boicotti l’invalsi…

Cavolate in liberta'

chi ti scrive è un ex docente che è stato anche studente e che si è dovuto confrontare, tanto, con i famigerati test a risposta chiusa e le prove strutturate. Purtroppo le trovi ovunque, se tenti un concorso pubblico le troverai alla preselezione, se vuoi accedere a corsi di laurea a numero chiuso ti troverai un test. Molti datori di lavoro fanno svolgere un test preliminare per scremare i curriculum quando non segano direttamente e spietatamente basandosi sul nome della scuola di provenienza o su altri fattori.  Come diceva il mio professore di matematica del liceo,  puoi evitare i compiti in classe ma non puoi evitare lo scrutinio finale. E un non classificato è un voto che ha il suo significato, ed è anche abbastanza grave. Significa che in una materia non è stato possibile giudicarti, significa essere bocciato senza passare dal via. Una prova oggettiva, un esame “cattivo” dal…

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Telecom, un labirinto ad ogni richiesta

Non ce l’ho con Telecom. Ho Telecom a casa, ha Tim la mia compagna e abbiamo richiesto Telecom in ufficio. Sono però esterrefatto dall’incapacità di gestire semplici richieste. Due storie rapide.

Caso 1

Vivo in un casale e per portare la linea telefonica e Internet, non avevo altre strade che Telecom qualche anno fa. La linea ha avuto qualche problema, ma va bene in fondo, anche se è una 7 Mbps. Per carità, la linea più stabile che ci sia per le ADSL, ma sempre 7 Mbps sono e per lo streaming ad esempio non è il massimo.

Qualche settimana fa vedo nella dashboard utente del sito 187 un banner che mi propone l’upgrade a 20 Mbps. Wow! Ci provo, clicco e finalizzo l’ordine online. So che casa è a 4,5 km dalla centrale e che l’attenuazione è prossima ai 45 dB, ma se me la propongono, penso, qualche chance di salire rispetto alla banda attuale potrei avercela.

Attivazione conclusa entro 48 ore, veloci e senza problemi. Bene! Faccio un paio di test ma vedo che la velocità non si schioda dai 6,5 Mbps… Mmm, qualcosa non funziona. Chiamo, segnalo, apro un ticket. L’help desk sa solo chiedermi se navigo in wifi o in ethernet. Signori, la velocità la rileva il router a monte, prima che io mi connetta col computer, e dunque non vi segnalo una velocità rilevata con uno speed test qualsiasi! Fortunatamente, fanno escalation verso il reparto tecnico. Tutti cortesi e gentili. Ma nulla si muove. Una settimana dopo, mi chiama un tecnico cortesissimo e prendiamo appuntamento per le ore 17. Decido di restare a casa e attenderlo. Non solo non arriverà mai più, ma nemmeno chiamerà per scusarsi o propormi una nuova data.

Il giorno dopo mi chiama un altro tecnico, sempre cortesissimo e anche competente. Parliamo, ci confrontiamo, e mi dice di aver operato già un downgrade a 10 Mbps, ma che dovrà fare dei test sulle configurazioni e mi farà poi sapere. Voi lo avete sentito più? Io no, ma vedo che la mia richiesta è chiusa sui ticket. Via Twitter, sollecito una verifica. Riaprono nuovo ticket. Ancora non so nulla e sono passate tre settimane.

Quanto spende Telecom in inefficienze di gestione di un ticket o cliente?

Caso 2

Decidiamo di attivare un contratto business in ufficio. Linea voce più linea dati con l’ADSL in fibra proposta da Telecom. E’ una fibra parziale, perché dal colonnino all’ufficio si va in rame, ma è comunque meglio dell’intera linea fino alla centrale in rame. Tempo una settimana viene il tecnico a installarla. Arriva in ufficio ma scopre che ci avevano assegnato il colonnino di strada sbagliato, centrale X invece di quella di competenza Y. Cento metri di distanza, per intenderci.

Ci tranquillizza dicendo che tornerà in centrale, chiederà di modificare la mappatura del nostro civico e tempo una settimana o dieci giorni, tornerà a concludere l’installazione. Da quel giorno, sono solo telefonate, solleciti e un vuoto enorme da parte Telecom. Non sappiamo, a distanza di un mese e più, quando e se verranno ad installare.

Anche qui, inefficienza totale nella gestione del contratto e mancata fatturazione per Telecom.

Due casi sono più di una coincidenza…

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Africa: la spocchia non è una soluzione

Sabato scorso sono andato ad ascoltare il panel “Di cosa parliamo quando parliamo di Africa” al Festival del Giornalismo di Perugia, edizione 2015. I relatori sembravano interessanti e l’argomento anche, se rapportato a come i giornalisti occidentali raccontano questo continente di 54 differentissimi Paesi.

Moderatore, Abdou Souleye Dio. Ospiti, Fatou Bensouda, procuratore capo della Corte Penale Internazionale, e Robert Kabushenga, CEO di The Vision Group. Mentre la Bensouda ha avuto il pregio di raccontare in modo puntuale e corretto ambiguità e verità del continente africano, Kabushenga ha avuto un approccio allo stesso tempo osannante sulla nuova Africa e il suo futuro, e negazionista sui problemi che ancora permangono.

Se vedete il video, noterete questa tipica spocchia che fa male in primis agli africani. Comprendo la voglia di rivincita e il fastidio verso noi occidentali che abbiamo saccheggiato in lungo e in largo quella terra, giocando con le loro etnie per scopi di potere e ricchezza, noncuranti dell’odio che nei secoli è cresciuto e ha provocato genocidi e massacri. Ma se non si riconosce la verità, non è possibile nemmeno affrontarla.

Alle domande – spesso mal poste, che miseria l’attuale giornalismo! – le risposte non sono state dialoganti ma sprezzanti.

La prima domanda post sessione era legata agli investimenti cinesi in Africa ed alla loro sostenibilità sia sociale che ambientale. Risposta che non risponde ed attacca, frontalmente. Oggi poi leggo questo articolo molto completo e che conferma informazioni che avevo anche direttamente:

PERCHÈ LA CINA STA COSTRUENDO CITTÀ FANTASMA IN AFRICA?

Quanto sarebbe più salutare un approccio pragmatico e aperto, da ogni parte?

Fascette Panduit


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Se l’abito non fa il monaco, l’attrezzo giusto fa l’artigiano

Ogni tanto, tolti i panni del lavoratore digitale, mi piace fare lavori manuali e pratici. Una specie di contraltare al lavoro quotidiano, così bello ma anche così effimero e impalpabile. Mi piace tagliare l’erba, piantare un albero da frutto in giardino, riverniciare una stanza di casa, inventare qualche diavoleria per la casetta di legno da giardino dei bambini.

Le mie capacità sono pessime. Bravissimo a spingere pulsanti su una tastiera, inetto a costruire o riparare cose materiali. Ma ci provo e mi piace. In questi anni una cosa l’ho imparata e capita: oltre alla capacità, servono gli strumenti giusti. Usate il cacciavite sbagliato e farete il doppio del lavoro e rovinerete per sempre la testa della vite! Usate un trapano o una punta da due lire e invece di un foro a parete adatto al vostro stop, vi ritroverete una grotta adatta alla vita di un roditore!

Ultima dimostrazione, l’uso di fascette per unire più elementi in giardino. Volevo aggiungere bandiere, pinnacoli, elementi ulteriori alla già iper-modificata casetta dei figli, vista la primavera incipiente (sì, a calendario è arrivata, ma metereologicamente non mi pare proprio sia arrivata la bella stagione!). Ho provato con staffe, viti, fascette di plastica, arzigogoli vari… un disastro, tanto tempo perso e risultati che duravano qualche giorno, messi alla prova non solo dal tempo ma anche dall’energia dei figli.

Poi, cerca e ricerca, ho scelto di spendere e acquistare un prodotto professionale Panduit. Non qualcosa da bricolage che trovi in un grande magazzino, ma qualcosa progettato e prodotto per chi lavora. Cinque minuti e il lavoro era finito. La fascetta (Panduit fascette) in alluminio non cede nemmeno con una scossa di terremoto!

Dunque, il mio consiglio è: anche se siete degli impiastri come me, usate attrezzi e pezzi giusti se volete fare un lavoro. Il numero dei disastri e la galleria degli orrori, saranno incommensurabilmente più piccoli.

Sport Communication


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Lo sport, tolto il calcio, comunica?

Ho scoperto che se la comunicazione in ambito digital è ormai QUASI matura per il business tradizionale (ed il quasi maiuscolo non è un refuso!), nello sport siamo ancora alla preistoria o quasi. Tolto il calcio, che la fa da padrone nei budget e nella professionalizzazione della comunicazione con alcune forti concentrazioni in agenzie specializzate, gli sport minori nella stragrande maggioranza dei casi sono affidati a pochi volenterosi.

Società sportive piccole e medie gestiscono direttamente i propri siti web e i propri canali social, tramite freelance “omaggianti” il proprio lavoro o tramite risorse interne che si “prestano” a questa mansione. Campioni e atleti, o sono giunti al top, o più spesso affidano ad amici o parenti l’onere. Il risultato è un approccio poco strategico e molto tattico, discontinuo e con basse performance.

Così, quando un amico mi ha proposto di condividere un’esperienza in questo micro-mondo, ho subito accettato, considerando la sfida interessante e curiosa. Sport Communication è un nuovo sito, alimentato costantemente con notizie sportive, ma soprattutto un’agenzia specializzata in ufficio stampa, digital marketing e personal branding per lo sport.

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Banner IAB Forum 2014


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IAB Forum 2014, un lento declino

Anche quest’anno sono stato allo IAB Forum a Milano. Alcuni anni li ho passati dietro agli stand, altri li ho vissuti da visitatore. Ciò che vedo è una formula che funziona sempre meno, un declino costante ed inesorabile dell’evento per interesse e presenze qualificate.

Siamo passati dagli anni d’oro dove non bastavano quasi due piani del Mi.Co. (Fiera Milano City) per contenere espositori e stand, all’ultimo nel quale un piano era fin troppo e palesava una presenza per quantità e qualità imbarazzante. Da un paio d’anni almeno sono fuggiti i grandi brand che prima colonizzavano con i loro stand scintillanti la Fiera (Banzai, Rai, Microsoft, Google, Yahoo!, ecc.), importanti ed imponenti ma che non necessariamente facevano bene alle agenzie del settore meno famose. Ora però stanno fuggendo anche le agenzie o i player piccoli ma di qualità. Quest’anno ho notato una forte presenza di stand legati a soluzioni software e tools marketing. Pochissime agenzie di comunicazione o di marketing. Tanti detentori di database marketing o concessionarie di medie-piccole dimensioni. Sono però una fetta piccola assai del settore, una fetta nient’affatto rappresentativa.

Parlando con i colleghi presenti e quelli assenti, è venuto fuori come oramai non siano più bilanciati costi e benefici (costi molto elevati, non recuperabili commercialmente con i pochi prospect veri che si incontrano all’evento). Come la nuova organizzazione non consenta alcuna personalizzazione degli stand, che in una fiera della comunicazione fa anche un po’ sorridere… ed in ogni caso rende il piano espositivo monotono e noioso. Come sia più interessante acquistare lo spazio di uno speech piuttosto che “gettare” via budget importanti per pochi metri quadri.

Così, IAB Forum è diventato un appuntamento autoreferenziale per noi del settore, dove si va per salutarsi tra colleghi e competitor o per ascoltare quale speech interessante. Dei marketing manager aziendali che conosco e che ho sentito dopo la data, nessuno ha deciso di passarci anche solo un’ora quest’anno (complice anche il calendario, così vicino alla fine d’anno e ai budget già pianificati in alcuni casi).

Ritengo sia un peccato. Però, non spenderei oggi un euro come azienda per avere uno stand nella due giorni milanese.

IAB dovrebbe ripensare del tutto l’evento, ma forse anche la propria struttura, oggi più politica che operativa. E’ imbarazzante ricevere pressioni da tante agenzie per l’elezione di uno dei membri del Consiglio Direttivo… Fortunatamente, non mi spettava il voto quest’anno, avendo deciso di non rinnovare la quota associativa. E’ il segno però di un mutamento che non ha giovato e che dovrebbe portare non ad incensarsi sui numeri delle presenze, ma valutare ascoltando i propri associati, se sono soddisfatti o no dell’evento com’è oggi. E con gli associati, ridisegnarlo con coraggio affinché torni ad essere una piazza di confronto interessante per tutti gli attori.

Questo è un mio giudizio personale. Sarei però curioso di avere altri riscontri e pensieri da voi.